Diario semi serio dei miei primi voli intercontinentali
Come si racconta una destinazione. Ovvero, come arrivarci con totale presenza e avventura, a destinazione.
Ciao,
Era il 26 novembre quando ho preso la decisione di prenotare questo viaggio, nei miei pensieri da tempo. Per risparmiare un po’, ho preferito prendere più voli e ho scelto di non curarmi della pianificazione ossessiva delle mete. La prima, meravigliosa, è frutto di una scelta dovuta proprio all’economicità della cosa. Non era prevista ma, incredibilmente, aveva più senso passare di lì, per una serie di vicissitudini. E io amo gli imprevisti.
Questa newsletter è stata scritta tra i voli e gli aeroporti che ho attraversato dal 26 al 29 dicembre (ma in Italia sarà ancora 28), e che mi porteranno alla prima meta del mio viaggio di cui non so nulla.
Per anni, ho rincorso obiettivi guardando sempre in là, al futuro. Tra gli insegnamenti del mio 2023, però, c’è la forza dello stare nel qui e ora per dare senso alla mia vita. Smettere di correre per cominciare a camminare e guardarsi attorno.
Come si racconta una destinazione, fisica o metaforica?
Prestando attenzione ai passi che si percorrono per raggiungerla.
Questo non è solo l’incipit del quarto episodio di Visione Aromatica.
Questo è anche un assaggio della mia collaborazione all’evento dedicato alla narrazione territoriale che prenderà vita a febbraio a Sorgono, nel centro Sardegna, da un’idea di Maurizio Orgiana e Cadossene Lab.
“Once Upon a Place”: ovvero come si raccontano le destinazioni. Ne supporterò la comunicazione e siederò alla tavola rotonda dedicata alle newsletter per parlare di Visione Aromatica.
Questo è uno spoiler. Questo evento sarà una figata.
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Ora allacciate le cinture. Attraversiamo il mondo.
26 dicembre 2023
12:15, aeroporto di Cagliari
Sono appena arrivata in aeroporto accompagnata dai miei genitori.
Mio padre mi ha chiesto ancora una volta che ore sono nella meta in cui trascorrerò capodanno.
So che è spaventato da questo viaggio ma so anche che non comprende ma ha imparato ad accettare il mio senso di indipendenza.
Mia madre è silenziosa. Mi accompagna con lo sguardo orgoglioso di chi quell’indipendenza, invece, la comprende appieno. Di chi, da quando ho 18 anni, mi ha spinto a fare, andare, sbagliare, rischiare, senza gettarmi addosso le sue paure ma col rispetto di una madre che sogna attraverso i racconti entusiasti della figlia.
Do loro un bacio. Mi sento fortunata. Questo viaggio me lo sono guadagnato, però le mie radici sono ancorate a qualcosa di prezioso che non ho scelto ma per cui non potevo chiedere di meglio.
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Mi avvio verso il banco del check-in.
Addosso ho 11kg sulle spalle e 7kg sul petto. Non sono comoda e il cappotto non mi facilita i movimenti, facendomi sentire legata come un salame. O come la cordula che ho mangiato durante il pranzo di Natale. Forse gli zaini non li ho preparati benissimo. Lo scoprirò più avanti, ora è troppo tardi per pensarci.
Imbarco il bagaglio.
Prendo un caffè e dell’acqua.
Si parte; direzione Milano Malpensa.
In volo comincio il libro che per due anni ho lasciato per quest’occasione: Un indovino mi disse, di Tiziano Terzani.
14.30, aeroporto di Milano Malpensa e una notte a Milano
Salgo sul Malpensa Express e arrivo a Milano centrale. Doccia al volo e si esce.
Cammino. Mi voglio godere un po’ la città.
A cena, prendo un menu a base di risotto allo zafferano, una bottiglia di Valpolicella Ripasso, chiacchiere e complicità.
“Ti rendi conto che sei su una soglia ben precisa, Je?”, mi chiede la persona con cui sono. “Questo viaggio ti cambierà per sempre. Quanto, lo deciderai tu in base a ciò che farai”.
La verità è che non me ne rendo ancora conto del tutto, ma che mi cambierà sì, ne sono certa. Per questo ho pianificato poco e niente.
La mattina successiva, mentre lascio l’hotel, il receptionist mi chiede dove io stia andando. Glielo racconto brevemente. La risposta che ricevo non mi piace: “sei così ricca?”.
È incredibile come la percezione che si ha di un viaggio lungo sia sempre legata a un concetto di ricchezza economica e, mai, di tempo e capacità di pianificazione. Nessuno che si sia invece complimentato su quanto io sia stata brava a organizzarmi. Organizzarmi, peraltro, nel continuare a lavorare in viaggio.
27 dicembre
12:30, aeroporto di Milano Malpensa, di nuovo
Arrivo in aeroporto con un treno diverso da quello che ho prenotato. Trenord ha fatto guasto.
Poco male, eccomi davanti al banco check in della Royal Jordanian per lascare il mio bagaglio. È da un po’ che non prendo un aereo da Malpensa e mi rendo conto che è un concentrato di ristoranti e locali di chef stellati e vini di pregio, fra Ferrari, Cannavacciuolo, Oldani.
Io opto per le gallette di mais alla macchinetta.
Mi siedo in attesa del volo.
Mi fermo.
Mi guardo attorno.
Sta succedendo.
Ho addosso una strana sensazione dove i pensieri si accavallano e fatico a governare le emozioni. Non sto per piangere, vero? Faccio un respiro profondo. Un altro.
Mi calmo e torno nel presente.
Sì, sta succedendo. Non so nemmeno io bene cosa, ma l’ho desiderato tanto.
15:15, volo Milano Malpensa - Amman
Salgo sul mio primo volo intercontinentale. Posto finestrino.
Mi addormento quasi subito, l’aereo su di me ha un effetto narcoletico istantaneo.
Mi sveglio con la voce dell’assistente di volo che distribuisce arachidi. La ragazza accanto a me me ne ha preso uno. Ringrazio e metto da parte.
Mi metto al pc e scrivo, loro giocano a Uno. A colpire tutte e tre e a unirci in una conversazione è la luce del tramonto che entra dal finestrino. L’orizzonte lontanissimo fa risplendere una linea netta di rosso che vira in arancione.
“Che colori incredibili”, ci diciamo.
Loro sono dirette in Giordania, non come me che, una volta arrivata ad Amman, dovrò prendere un altro volo.
Mentre parliamo ci arriva al naso un odore fortissimo. Sono le 17:00 e stanno per servire la cena. Non ho molta fame ma sono curiosa e non so nemmeno quando potrò rimangiare (spoiler, subito😅) per cui prendo il vassoio che mi portano.
“Beef or chicken?” Mi chiede l’assistente. Scelgo pollo.
Mi viene consegnato un vassoio bollente con una vaschetta di riso speziato e pollo, un’insalata di pomodori, peperoni verdi e cetrioli, del pane, un dolce e un formaggino.
Sorrido, Nella mia precedente vita, tra i vari lavori che ho fatto, c’è stato quelli di food&beverage assistant per un’agenzia di yacht. La spesa delle barche in cui a bordo c’erano mediorientali o arabi conteneva formaggini Mio. Ho svaligiato interi negozi con formaggini Mio perché, mi raccontarono, c’è un formaggio simile di cui sono ghiotti. Chissà se è questo.
Il riso è buonissimo. Chiacchiero con Alice, che siede accanto a me e, vedendomi scrivere, è incuriosita. È originaria di Milano ma vive a Como e ogni giorno prende l’aliscafo per andare nella scuola in cui insegna italiano e latino. Voleva fare la scrittrice o la giornalista, però la vita per lei ha scelto altro. “Che studi hai fatto per diventare copywriter?”, mi chiede.
Eh. Come te lo spiego che ho un percorso totalmente non lineare e che la mia vita è lo specchio di questo viaggio? Un’avventura di incertezze senza le quali mi annoio ma che mi aiutano a disegnare il senso di ciò che faccio.
Infatti non so se è più perplessa per la mia vita passata o per il viaggio che sto per fare.
“Io parto solo con viaggi organizzati” mi dice. Per questo in Giordania con lei c’è Ilaria. È di Trento e la cosa bella è che si sono conosciute l’anno scorso in un viaggio in Norvegia. Sono andate subito d’accordo e ogni tanto partono assieme.
La ascolto sorridendo, mi piace vedere queste due giovani donne che escono dalla propria confort zone a modo loro. Spesso crediamo che ci sia solo un modo per vivere, inseguiamo modelli che non ci appartengono e cadiamo nella frustrazione se non ci sentiamo di fare qualcosa che non è nelle nostre corde.
La vita si vive un passo alla volta.
In bocca al lupo ragazze, a tanti altri viaggi assieme e con la possibilità di allargare ancora di più la compagnia.
21:25, aeroporto di Amman (Giordania)
Scalo. Fra due ore ho un nuovo volo.
Mi rendo subito conto del primo danno di questo viaggio: ho lasciato gli occhiali da vista in aereo. Li avevo comprati tre mesi fa. Sarà divertente non vederci una cippa. Ora comunque non è il momento di pensarci, non posso risolvere (anche perché a breve avrò problemi più importanti).
L’aeroporto di Amman è piccolo per cui arrivo subito al gate e mi siedo. Mi guardo attorno: sono l’unica donna occidentale in mezzo a una trentina di uomini mediorientali. Sono tutti in videochiamata. Parlano a voce alta e ridono.
Frastornata dal brusio e dalla stanchezza che comincia a farsi sentire decido di spostarmi finché non annunciano il mio volo.
Quella che segue è la testimonianza involontaria di una telefonata di un uomo, italiano, che parla col suo amico. Spero che non sia un lettore di Visione Aromatica, e soprattutto spero che non lo sia la donna protagonista dei suoi racconti, che lo ama ma lui si porta solo a letto. Lui è in un limbo di sensi di colpa e menefreghismo: l’ha tradita così tante volte che ora non sa come comportarsi anche perché, lei, vuole lasciare il marito e l’altro amante per lui. “Come faccio?” Chiede all’amico.
Non lo so come fate raga, siete in mille in sta storia. Io nel dubbio torno dagli arabi che almeno non capisco un cazzo di ciò che dicono e preferisco.
23:45, volo Amman - Cairo
Appena salgo in aereo l’hostess mi da un foglio.Capirò solo dopo che mi serve per il visto,
Accanto a me siede una coppia sulla cinquantina, lei spagnola e lui dall’accento mi sembra marchigiano. Lui, che ha degli occhi azzurri ghiaccio, mi chiede: “scusa, hai il viso di una che ne sa, posso chiederti un’informazione?”
Rido e gli dico che probabilmente ne so meno di lui e mi risponde: “ti vedo tranquilla e rilassata quindi ho pensato fossi esperta”. Ovviamente non lo ero per la domanda che voleva farmi, ma accolgo le sue parole rendendomi conto che sì, lo sono. Mi sento totalmente a mio agio nella mia completa inconsapevolezza.
Non c’è altro che io voglia sapere se non cosa sto facendo ora.
Poco dopo comincia un via vai nel corridoio. Mi rendo conto che, se Ryanair prova a venderti anche i sedili, Royal Jordanian è l’equivalente di mia zia quando vado a trovarla: deve offrirmi cibo.
Intasco per il giorno dopo un wrap di pollo e una cheesecake. Assaggio il succo ai frutti di bosco e mi pento perché è come bere una Morosita, ma ancora più stucchevole.
28 dicembre
00:14, aeroporto internazionale del Cairo (Egitto)
Saluto i miei vicini d’aereo e mi dirigo verso il mio obiettivo: recuperare il bagaglio, trovare il modo di non fare il visto, cercare un luogo sicuro in cui dormire all’interno dell’aeroporto.
Mi rendo subito conto che il ritiro del bagaglio è connesso al visto: senza quest’ultimo non mi danno le mie cose. Devo trovare un’escamotage.
Incrocio nuovamente il signore con gli occhi color ghiaccio. Lui è la compagna sono con un egiziano che li sta aiutando a compilare il foglio per il rilascio del visto. Bingo.
Mi avvicino e chiedo loro se posso approfittare della loro gentilezza e avere un’info dalla guida. Lui mi tratta come un papà, già in aereo mi guardava tra l’ammirato e il preoccupato. Mentre parlo con la guida mi osserva sorridente.
Ok devo andare dalla sicurezza locale. Fantastico. Chi meglio della sicurezza può aiutarmi (certo come no, Jessica).
Salgo al primo piano e mi ritrovo in un corridoio stretto con un desk e delle sedie. Sembra una sala d’aspetto.
Dietro il banco, solo uomini. Seduti, solo uomini e donne col volto o il capo coperto.
Io sono la sola donna giovane occidentale.
Spiego di cosa ho bisogno. Capirci non è semplice ma ci riusciamo.
Controllano il mio passaporto e il biglietto che attesti che, il giorno successivo, io abbia davvero un nuovo volo.
“Ok”, mi dicono. “Puoi stare qui e ti recuperiamo noi il bagaglio. Hai il volo fra 12 ore, quindi starai qui tutto il tempo senza acqua, cibo e bagno”. Una punizione, in pratica. Un assaggio di carcere.
Me lo dice con un ghigno sul volto, quasi in tono di sfida. Per me non è un problema: ho acqua, cibo, grande allenamento nel trattenere la pipì e nessuna intenzione di spendere 60€ di visto. Accetto. Il passaporto lo tiene ancora lui.
Mi siedo e attendo. Un anziano signore che dai tratti mi sembra indiano si rivolge a me con la voce roca. A suo dire, sono l’unica con gli occhi buoni in tutta la stanza (probabile) e per questo (amo la connessione che ha creato fra le due cose) l’unica in grado di aiutarlo a connettere il suo telefono al wifi dell’aeroporto. Risolvo il suo problema annottandomi di inserire questa soft skill su LinkedIn.
È l’una di notte quando, mentre sono assorta nei miei pensieri, la sicurezza chiama “Italian, italian”. Oggettivamente non posso che essere io.
Mi dice che l’indomani il mio aereo partirà da un altro terminal per cui devo spostarmi. Un suo collega mi aiuterà a recuperare il bagaglio per poi accompagnarmi a prendere un transfer.
Ok, andiamo!
Salgo in ascensore con un uomo sulla cinquantina.
Quello che succede da questo momento è un po’ complicato da spiegare. Preferisco solo scrivere che, a volte, nella guerra tra furbi, vince chi mantiene la calma, ragionando prima di effettuare una mossa. A volte, occorre anche accettare di perdere una puntata, l’importante è arrivare vittoriosi alla fine della gara. Lo si fa tendendo gli occhi bene aperti.
Mi restituiscono finalmente il passaporto e salgo sul transfer.
Un pulmino privato, su cui ci sono solo io e l’autista.
Spegne le luci e tutto si fa buio.
Respiro.
Parte.
Impiega meno di un minuto per arrivare al terminal 3.
Ci sono.
Mi accompagna fino all’ascensore senza lasciarmi un attimo, seleziona per me il piano e mi saluta.
Sono in un’area controllata e di passaggio da cui potrei uscire (con visto) o passare all’area sterile di nuovo con la sicurezza.
Ora comunque non ha importanza. Ci penserò dopo una dormita.
Mi guardo attorno e prendo posto in una panchina accanto a dei ragazzi africani.
Prenderò davvero sonno alle 4:00, seppur svegliandomi a più riprese perché qui sono tutti dei grandi chiacchieroni.
La mattina mi sveglio e cerco subito un caffè. L’opzione è un americano alla macchinetta.
Ora, con la caffeina in corpo è arrivato il momento di capire come arrivare alla mia destinazione dei prossimi giorni. Il mio aereo è alle 13:30. Mi danno delle info inizialmente sbagliate. Fortunatamente non mi quadrano le cose per cui glielo faccio notare. Si scusano.
Mi chiedono di attendere. Mi chiameranno loro.
11.30: un uomo si avvicina e mi chiede se fossi l’italiana diretta a Shanghai.
Sì sono io. Ok, vieni con me.
Ora immaginate tutto il trattamento di ieri notte e ribaltatelo al suo esatto contrario: da questo momento in avanti, divento una sorta di ospite d’onore.
Un uomo molto gentile e ben vestito mi accompagna (ma io mi sento come fossi scortata) da un punto all’altro dell’aeroporto. Succedono delle cose che non mi spiego anche perché non parlano.
Ricevo il miglior trattamento che potessi aspettarmi e, con un’assistenza iper dettagliata che non ho ovviamente chiesto e pagato e a cui non trovo un senso, ho in mano il mio biglietto aereo nel giro di 15 minuti. Il mio accompagnatore, che mi fa sentire quasi una console, si preoccupa che io mi riposi, che lo attenda in posti comodi e accoglienti quando sbriga le mie pratiche, mi chiede addirittura scusa quando mi chiede alcune info e documenti.
Ma stavo partecipando a una prova di forza e non me l’hanno detto?
Chissà.
Il senso di tutto questo lo trovo nella semplice accoglienza dell’illogicità di tutta questa storia che, lo ammetto, mi diverte dal primo momento (a parte il minuto sul transfer) e si esprime con i contorni di ciò che cercavo da questo viaggio: la capacità di mettermi alla prova in un’avventura fuori dai miei schemi mentali.
13:30, volo Cairo - Shanghai
Esistono davvero aerei così grandi? Per sbaglio entro nell’area business e ci sono delle cuccette. Io comunque sono ovviamente nell’economy perché sono povera. Mi sistemo nella fila centrale.
È meno comodo di quanto sperassi. 11 ore di volo non sono poche.
Il pasto anche stavolta mi piace moltissimo. Tra pasta e riso scelgo riso, con un gustosissimo manzo speziato, humus di ceci, frutta e un cookie.
Il volo prosegue tranquillo con poche particolarità da segnalare. Ma adesso ci divertiamo in aeroporto. Dai che ci siamo.
05:55 (locali) aeroporto di Shanghai Pudong
Se mi seguite su Instagram, avrete probabilmente compreso con chi sarò qui. Rimarrò a Shanghai qualche giorno, prima di riprendere l’avventura in solitaria, e mi ospiterà la mia amica Gaia Gionchetti.
Dal primo dicembre e per un anno, chi entra in Cina con passaporto italiano non necessita il visto. Ce l’hanno servito su un piatto d’argento questa Reunion cinese. Gaia è la mia amica di penna, un cuore bello con cui ho intessuto una relazione fortissima fatta dapprima di racconti gastronomici e poi di valanghe di messaggi. L’ho conosciuta online nel 2020, di persona solo a gennaio di quest’anno, ed è una delle persone che chiamo Amiche e che di me sa tantissimo.
Non vedo l’ora di abbracciarla. Completo le procedure dei controlli immigrazione in pochi minuti e ritiro il bagaglio. Ad attendermi c’è Aming, l’autista.
Sono in Cina. Sono a casa Gionchetti - Bacchelli.
Su Instagram racconterò il viaggio che qui, in Cina, è solo all’inizio.
SU DI ME
Sono Jessica Cani e mi occupo di comunicazione digitale per aziende del settore enogastronimico. Vivo a Cagliari, destreggiandomi come un equilibrista tra il mio amore viscerale per la Sardegna e il bisogno costante di evadere i confini e viaggiare.
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Alla prossima amici, vi ricordo che…
“Questo viaggiare da solo era forse la mia meditazione! Libero dalla routine di tutti i giorni, senza alcun dovere tranne quello con la propria coscienza”
Tiziano Terzani
Fantastico come sempre leggerti!!
Per tantissime cose che descrivi del tuo modo, nuovo e desiderato, di affrontare le cose mi ci ritrovo completamente e mi piace sapere delle belle sensazioni che stai provando: so cosa significa! Lo auguro a tanti perché è una fortuna immensa vivere sereni il momento senza preoccuparsi di cosa succederà dopo.
Che sia un viaggio meraviglioso come quello che hai sempre desiderato ❤️ Ci vediamo a Sorgono
Ciao Jessica, bella idea! Mi piace il tuo diario di viaggio, è come essere lì con te. Tienici aggiornati, non è solo to papà che si preoccupa 😉